In principio erano barbari…?
Per saperlo
dobbiamo andare nel Vicino e Medio Oriente ma di molti millenni fa, là dove la
scrittura e la storia iniziarono il loro corso, e dove oggi possiamo trovare le
tracce di unità tra due parole: lingua e nazione.
Tralasciando
la narrazione biblica della torre di Babele dalla quale iniziò, secondo il
mito, la moltiplicazione degli idiomi e dei popoli, risulta invece curioso sapere
come inizialmente la divisione tra lingua e nazione non vi fu in quella mezzaluna
fertile che studiamo sui libri sin dalle elementari.
Nell’antica
Mesopotamia, terra che ha visto passare regni, dinastie e primi imperi, i vari popoli,
abituati a spostarsi da una terra all’altra, non si posero mai il problema della
“nazionalizzazione”, ma abbracciarono nel corso della loro storia stirpi diverse e
adottarono più lingue comuni (aramaico, elamico, eblaita, ittita, accadico,
persiano…) che coesistevano come lingue amministrative, ufficiali e in parte
religiose. Molti sono gli esempi di stele e tavolette con testi scritti in tre
lingue diverse: si pensi ad esempio alla Stele di Rosetta, scritta in
geroglifico, demotico e greco ma anche le Iscrizioni di Bisotun dove il testo
che circonda le immagini è scritto in babilonese, persiano ed elamita.
Detto questo, allora, da dove nasce il concetto di Barbaro come straniero e diverso?
Il
ragionamento comune a tutti è quello di risalire all’etimologia della parola proiettandoci subito verso due importanti culture: quella greca in primis e dopo
quella romana. Per i Greci i barbari erano coloro che, almeno inizialmente,
parlavano un linguaggio sgradevole e a loro incomprensibile ma poi divennero quelli diversi da loro, rozzi e i primitivi. I Romani invece consideravano barbari semplicemente
tutti coloro che romani non erano (di conseguenza, ovviamente, i nemici).
Per capire l’entusiasmante
percorso della parola Barbaro, dobbiamo fare un passo indietro, anzi, più di uno.
Anzi, partire proprio dall’inizio, da quella "mezzaluna fertile" di cui vi
parlavo prima, e arrivare ai mitici sumeri!
I sumeri, a
cui dobbiamo l’invenzione della scrittura, usavano un vocabolo, barbar-, dotato
di un duplice significato, a seconda dei contesti: uno era straniero e l’altro balbuziente. A quel tempo, l’omogeneità etnica tra popoli era stabilità solo
dall’omogeneità linguistica, cioè dalla capacità di parlare una lingua e di
parlarla bene.
C’era chi
sapeva parlare una lingua e chi invece non sapeva parlarla o la “farfugliava”:
tale individuo era considerato per certi versi balbuziente, come lo sono i bambini
quando non hanno ancora imparato a parlare ma anche straniero, nel caso si trattasse di qualcuno, proveniente da altre terre, che non conosceva una lingua che fosse diversa dalla propria. Ecco, questo è il significato
che anticamente i sumeri davano della parola barbaro, come pure gli accadici
con Barbaru, o come gli antichi indiani con Barbarah. Ma,
ricordiamolo, si trattava di un concetto meramente linguistico.
Fu con i
greci che il termine Barbaros acquisì, a poco a poco, un significato
sempre più sociale e nazionalistico e via via sempre meno linguistico: fieri della
loro “ellenicità” e convinti che la loro cultura, e di riflesso anche la loro
lingua, fossero le migliori, i greci iniziarono a considerare tutti gli altri come “stranieri”
o “barbari” inteso come inferiori, come rozzi e incolti. Il forte senso nazionalistico
della Grecia portò al disprezzo delle altre lingue e all’espansione linguistica
del greco come la sola lingua di prestigio che, come ben sappiamo, conquistò pure i Romani.
Come diceva lo stesso Orazio nelle Epistole:
Graecia captam ferum victorem cepit(la Grecia conquistata conquistò il vincitore)
Ad un certo punto
la Grecia venne conquistata con le armi dai Romani, ma a sua volta la Grecia
conquistò i Romani con la sua cultura, le sue arti e lettere e con la sua
lingua, riuscendo a “civilizzare” un incolto e rozzo conquistatore.
L’incolto
conquistatore apprese e assorbì il concetto di Barbaro, anche se forse con meno
snob e sprezzo e in modo più pratico e giuridico: il barbaro era semplicemente il “non
Romano”, colui che era diverso perché non aveva la cittadinanza romana (quindi di riflesso i nemici).
Quando poi l’Impero
Romano divenne pure cristiano, il barbaro passò a indicare non solo chi non era
romano ma anche chi non era cristiano, considerando così barbari coloro che
non erano cristiani, pagani e musulmani, acquisendo il termine così un connotato di carattere religioso.
E ciò continuò a essere sino al risveglio del gusto classico antico riportato
alla luce dal Rinascimento che resuscitò il vecchio significato un po’
snob dell’antica Grecia: tutto ciò che non era armonioso, delicato, preciso,
equilibrato e bello da vedere era rozzo, brutto a vedersi, poco raffinato e “barbarico”.
La parola Barbaro perse a poco a poco il senso di straniero, poi di diverso e di balbuziente, spogliandosi di tutti i connotati avuti sino a ora: prima quello linguistico, poi sociale e nazionalistico poi ancora giuridico e religioso per tenere quell’unico connotato negativo e dispregiativo con il quale ancora
oggi siamo soliti definire qualsiasi cosa chiamiamo barbara.
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