sabato 15 maggio 2021

Etimologia dei nomi di luoghi: DOLOMITI


I Ladini hanno chiamato per lungo tempo le Dolomiti "lis montes pàljes" (i monti pallidi), per il loro colore chiaro, che contrasta con quello più cupo dei monti vicini. Secondo una leggenda ladina, sarebbero stati i Silvani, i nani dei boschi e delle caverne, a rendere più chiare le rocce, filando i raggi della Luna per tessere poi, intorno alle cime, una rete sottile e luminosa. L'avrebbero fatto perché la figlia del Re della Luna, sposa del Re delle Dolomiti, non avesse nostalgia del suo mondo lontano, perennemente bianco e lucente. E le stelle alpine sarebbero un dono della principessa portato dalla Luna.

Il nome "Dolomiti", invece, nato poco più di duecento anni fa e divenuto popolare solo all'inizio del Novecento, non ha un'origine altrettanto poetica. Nel 1789 il marchese Déodat de Dolomieu compì un viaggio di studio nel Tirolo meridionale; lungo la strada fra Trento e Bolzano raccolse campioni di una roccia chiara, simile al calcare ma che, a differenza di quest'ultimo, non reagiva quando veniva bagnata con acido cloridico. Si scoprì che i campioni erano composti di un minerale quasi sconosciuto, un carbonato di calcio e magnesio al quale fu dato il nome di "dolomite", in onore del marchese, mentre "dolomia" fu chiamata la roccia di colore chiaro che lo conteneva. Quando, nella seconda metà dell'Ottocento, i primi turisti e alpinisti inglesi scoprirono il fascino dei monti sudtirolesi, nei loro resoconti di viaggio iniziarono a scrivere di "Dolomite Mountains", "Dolomite district", "Dolomite region", da cui deriva il nome dell'intera area.

A rendere peculiare il paesaggio dolomitico, però, è soprattutto il fatto che la dolomia si trova raccolta in imponenti gruppi isolati e circondati da ampie valli, la cui origine è molto lontana nel tempo. Circa duecento milioni di anni fa, in un mare poco profonto, dalle acque calde e agitate, si formarono scogliere coralline: poiché il fondale si abbassava lentamente, i coralli, le alghe e miriadi di altri piccoli organismi continuavano a innalzare le loro costruzioni per restare vicini alla luce, come sta accadendo ora negli atolli del Pacifico. Le rocce che nascevano da quel brulichio di vita erano calcari e dolomie, che raggiunsero uno spessore di centinaia di metri.

Successivamente le acque divennero torbide per l'entrata in attività di numerosi vulcani: coralli e alghe si estinsero e furono ricoperti da lave e tufi. Quando il mare tornò limpido, si formarono altri calcari e dolomie, e tra una scogliera e l'altra si depositarono  rocce più tenere, come marne e arenarie. Quando la catena alpina si innalzò, queste formazioni emersero dal mare e lentamente l'erosione liberò dal mantello di altre rocce le scogliere, che ora si ergono alte e isolate a formare i "gruppi monolitici".

Solo al tramonto, nei giorni sereni, le cime si addolciscono, illuminandosi per pochi attimi di un caldo colore rosato che incanta da sempre i viaggiatori come gli abitanti del posto. Un'altra leggenda ladina racconta, infatti, che un tempo lì si trovasse il regno dei nani, ricco di favolosi tesori, e che sulle vette fiorisse un giardino di rose rosse. Finché un giorno il re Laurino, per salvare il proprio popolo dall'invidia degli altri, pietrificò il roseto in roccia grigia, «perché non fosse più visibile, né di giorno né di notte». Ma re Laurino, nel suo incantesimo, dimenticò il crepuscolo, che non è più giorno e non è ancora notte; da allora al tramonto, per un breve attimo, rivive il "giardino delle rose". Ed è proprio così: il tempo ha operato un incantesimo sulle Dolomiti, cristallizzando per sempre un giardino di coralli.

(Tratto da Mario Tozzi, Viaggio in Italia - 100+9 emozioni da provare almeno una volta prima che finisca il mondo, 2009, DeAgostini)

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