Quando
si parla di lingua italiana, spesso e sovente si cade nell’errore di
considerare prevalente l’apporto etimologico greco-latino, mentre gli altri
come minoritari, “importati” rispetto al substrato autoctono, o peggio di poco
conto.
In questa categoria “secondaria” viene spesso, a torto, inserito anche
il patrimonio etimologico derivato dalle lingue germaniche, con straordinaria
preminenza del longobardo, che invece può rivaleggiare con il greco e il latino
in quanto a formazione non solo del nostro idioma, ma addirittura della nostra
storia, del nostro diritto e della nostra cultura.
Il giustoricista conosce
bene il peso della “longobardità” nel diritto italiano e proprio in base ai
suoi studi è capace di cogliere meglio degli altri quante parole italiane
derivino dal longobardo e in particolare dal longobardo giuridico. Questa
“prepotenza” del longobardo è tale da insinuarsi addirittura… in casa nostra!
C’è un luogo della nostra casa, infatti, che “parla” longobardo al 100%.
È una
parola che non solo deriva dal longobardo, ma addirittura non ha incontrato,
nei secoli, modificazioni significativi, rispetto all’originale. Mi riferisco
ovviamente alla “Sala” (altrimenti detta “soggiorno”), che, oltre al luogo
della casa principalmente dedicato alle attività comuni (diverse cioè da quelle
che normalmente si svolgono in bagno, in camera da letto o in cucina), in
alcuni contesti designa anche una “stanza di considerevoli proporzioni” (il ché
è vero anche all’interno della casa, dato che il soggiorno di solito è anche la
stanza più grande fra tutte).
L’origine di questa parola viene fatta risalire
proprio ad una istituzione capitale dell’ordinamento longobardo che è la
“sala”, appunto, cioè “l’assemblea degli arimanni”. Costoro (dal longobardo “heer: comandante” e “man: uomo”) erano la categoria sociale
fondamentale della società longobarda. Facile immaginare che, con il passare
del tempo, il termine Sala sia passato a designare il luogo fisico ove questa
assemblea si radunava.
Per il periodo più arcaico non è del tutto escluso che
questi luoghi fossero anche spazi aperti (o addirittura luoghi geografici ben
precisi, come attestato da alcuni toponimi di chiara origine longobarda, come “Sala
Baganza” in provincia di Parma); certo è che, con la civilizzazione dei
longobardi, le “Sale” hanno cominciato a radunarsi in luoghi fisici chiusi.
Dato poi il sicuramente non esiguo numero di partecipanti, è chiaro che nemmeno
questi luoghi fossero di dimensioni contenute. Quindi, da questi “luoghi di
riunione”, la “Sala” ha incominciato a designare, fra le stanze in cui si
spartisce lo spazio di un edificio, quella di dimensioni più estese ed in
seguito quella espressamente dedicata al vivere quotidiano.
Nel castello
medievale e nelle dimore signorili dei secoli successivi esisteva la c.d. “sala
comune”, che spesso coincideva con la “sala da pranzo” (espressamente dedicata
ai pasti, che però venivano preparati in un luogo diverso, le “cucine”) o con
la “sala da ballo” (espressamente dedicata alle danze). Esisteva poi la “sala
da bagno” (dove appunto si “faceva il bagno”, non i propri bisogni a cui invece
era espressamente destinata la “latrina”, mentre oggi la “latrina” e la “sala
da bagno” si sono uniti in un unico ambiente, che è il “bagno” appunto).
Esistevano poi (ed esistono tuttora) luoghi ristretti, di solito dedicati allo
svago (le “salette”). Esistono le “sale d’attesa”, i “saloni d’esposizione”…
vari tipi di “sale” quindi, ognuna differente a seconda della destinazione
d’uso e della dimensione. Se dovessimo concentrarci poi sull’origine più
strettamente giuridica del termine “longobardo”, noteremmo che nella maggior
parte dei casi le “sale” non hanno poi perso così tanto il loro uso generale di
“luogo ove ci si riunisce”.
Tutti coloro che “attendono” si riuniscono in “sala
d’attesa”; dopo cena, la famiglia si riunisce in soggiorno (la “sala” per
eccellenza, potremmo dire); i visitatori di una mostra si riuniscono nel
“salone delle esposizioni” etc… il tutto giustificato dal fatto che la vera
origine di questa parola non designava un luogo fisico, bensì un consesso,
un’assemblea di più persone, la “sala degli arimanni”, appunto.
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